martedì 8 febbraio 2011

il funerale di mio nonno

Questa è una delle storie che quando la racconto, la gente mi dice: "dovresti scriverla!". E in effetti dovrei proprio, perchè questa è anche una di quelle storie di cui, quando passa un po' di tempo, cominci a dimenticare i dettagli, le sfumature, quei commenti sarcastici che inserisci, che diventano parte integrante dell'assurda favoletta. Così la racconto.
L'estate scorsa è stata una lunga estate gremita di morte.
Di certo rapportarsi con la morte non è mai piacevole, spesso ti spaventa, altre volte ti sorprende, altre volte ancora non sai bene nemmeno tu che emozione sia più consona al momento. Ho conosciuto poco tempo fa un’adorabile ninfetta che si stupiva di come l'uomo fosse, in punto di morte, totalmente abbandonato a se stesso. Forse sarebbe più utile vederla così, e pensare non tanto alla morte come perdita di sè, ma più che altro come abbandono a sè. Forse è proprio così. Ma sì, mi piace, facciamo che è così. Brava Lolita!
Mio nonno si abbandona a se stesso proprio nella lugubre ultima estate trascorsa, in modo piuttosto bizzarro. Malato da tempo, trascorreva agosto lontano dall'umida pianura, nel suo paese natio, tra le montagne di una valle il cui nome è evocativo come pochi: Val Taleggio. Un bel giorno mio padre l'accompagna in bagno, e lì, proprio lì, mentre il nonno vecchino riflette intensamente su problemi che trascendono la materia (che è un po' quello che facciamo tutti almeno una volta al giorno) si accascia a terra e muore. Mio padre lo sistema alla benemeglio sul letto e corre in paese a chiamare qualcuno che conosce qualcuno che conosce lo zio di quello che ha l'agenzia di pompe funebri più vicina. Lo trova, e in men che non si dica due uomini vestiti di tutto punto piombano tipo agenti FBI in casa nostra, chiedono dove si trovi il cadavere, lo vestono, lavano, truccano, e preparano pronto ad essere visitato da miriadi di improbabili e sconosciuti parenti. Tutto questo senza che un dottore avesse ancora dichiarato la morte.
- Ma il dottore, papà, alla fine è venuto? -
- No Alessia: il dottore non è mai venuto. -
Ora, capisco che da un uomo di 87 anni che si accascia a terra e sbianca, non ti aspetti che stia fingendo un malore per poi aprire gli occhi e gridare "scherzone!", ma un povero diavolo di dottore che si facesse qualche tornante giusto così, per sentire se almeno il cuore aveva effettivamente smesso di battere... vabbè, nonno, ormai è tardi, ma sappi che a me sta cosa mi ha lasciata un po' perplessa.
Comunque, il giorno del funerale le mie zie avevano organizzato tutto alla perfezione: le visite, il corteo fino alla chiesa, i canti, le letture (ed i prescelti per queste eravamo io e mio fratello), il corteo chiesa - cimitero, il gran finale ed infine il grandissimo finalissimo. Non è il mio hobby preferito vedere i cadaveri, quindi ho deciso di starmene fuori dalla sala dove mio nonno era probabilmente ancora assorto in meditazioni metafisiche, veder sfilare davanti a me cugini, zii, sorelle di amici di pronipoti, il prete del paese, la perpetua e aspettare così l'ora del primo corteo. Arrivati finalmente in chiesa, mi avvicino al leggio e inizio il mio monologo tratto da non mi ricordo quale capitolo del mega libro super made in sky. Peccato che non fosse un brano prettamente sereno: la storia però l'ho capita. Parlava di ossa, carne, muscoli tutti messi lì disordinati, e di Jesus Christ che ordinava loro di riformarsi e di riprendere vita, e questi che gli obbedivano. Frankenstein. Non era di Mary Shelley? No, è di J.C.S., che lo sappiamo è il divo incontrastato di queste cose. Insomma, leggo questa cosa che faceva anche un po' senso, e più vado avanti più mi rendo conto che chi cacchio l'ha scritta che cavolo c'aveva in mente nessuno lo sa. E forse è meglio così. Dopo il gran finale, con tanto di ultime lacrime e canto angosciante ("Un giorno credo, ritornerò", s'intitolava: ok, nonno, tu ritorna pure, se non altro per fare quel piccolo accertamento medico sulla tua morte, ma i tuoi altri compagni zombie lasciali là, ok?), le mie zie rivelano il grandissimo finalissimo. In quel piccolo paesino di montagna formaggiosa, la mia famiglia ha una baita ristrutturata che si trova, casulmente, proprio a un centinaio di metri dal cimitero. E cosa abbiamo fatto lì dopo l'esequie? Un grande party, in very american style, che però in Val Taleggio non ci azzecca un granchè. Ma superato il disagio iniziale e la perplessità nel vedere una festa subito dopo un funerale (con il mio povero cugino che correva a destra e a manca per portare torte, vino, acqua, salatini, salame... salame? sì, il salame!), devo ammettere che l'idea del party è decisamente apprezzabile. Alla fine era una riunione di famiglia, che poi non conoscessi i miei familiari, questo è un dettaglio. E la volete sapere la cosa assurda? C'è un'ordinanza comunale, in Val Taleggio, che dice che se non hai la residenza lì non puoi essere seppellito lì. Che tu sia nato tra gli stracchini e abbia fatto stracchini per tutta la tua vita, poco importa. Devi avere la residenza. Mio nonno, che da tanti anni viveva in pianura, la residenza lì non ce l'aveva certo. Ma c'è un'eccezione, fondamentale: se muori lì, allora puoi essere seppellito lì. Alla fine, nonno, che ce frega se nessuno ti ha visitato, avevi proprio voglia di un altro dottore? L'importante, alla fine, è poter vedere ancora qualche mucca pascolare, di tanto in tanto. L'importante, alla fine, è essere a casa.

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